Antonio by Beatriz Bracher

Antonio by Beatriz Bracher

autore:Beatriz Bracher [Bracher, Beatriz]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Utopia
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


HAROLDO

Il dovere mi chiama, ragazzo mio, anche da pensionato sono ancora richiesto. La signora Silvia, quando voleva attirare l’attenzione del figlio, citava suo nonno, «l’uomo è prigioniero del dovere», e Xavier, per scherzare, rispondeva, «e io del piacere». Alla fine, ecco il risultato. Il bisnonno lasciò in eredità masserie, prese parte alla costruzione di ferrovie; il padre fondò ospedali, si fece un nome nell’accademia, e il mio amico Xavier? Pubblicò articoli, tradusse e scrisse romanzi incomprensibili che sono stati mangiati dalla muffa e dalle tarme, pubblicò racconti su riviste che non leggeva nessuno, mise in scena delle opere teatrali che il vento si è portato via e si porterà via per sempre. Forse sarà ricordato in una qualche cerchia segreta, ma di sicuro per poco tempo. Non ebbe neanche il coraggio di essere un artista, questa è la verità.

E San Paolo non perdona, ti sbatte in faccia quello che non riesci a essere, quanto più invecchi, peggio è, le evidenze si fanno lampanti: non ce l’hai fatta! Non ci sei arrivato neanche vicino! Si accendono i cartelloni pubblicitari dell’avenida Paulista. Xavier accusò il colpo, è morto presto, non sopportò di constatare la propria sconfitta in un nido vuoto, in una casa senza figli, unica zavorra che è stato capace di generare nel corso della sua vita, in fin dei conti. D’altro canto, solo nella città di San Paolo uno può diventare davvero qualcuno, e questo è certo, se parliamo del Brasile, e non vale la pena pensare su scala mondiale: sarebbe pura astrazione.

Nulla fiorirà davvero se non passa prima da San Paolo, anche se lavori a Rio de Janeiro, Belo Horizonte o Porto Alegre. Perché le decisioni si prendono qui, qui circolano i soldi, le idee maturano qui e qui si consuma il vero confronto. Lavora molto, costruisciti un nome che sia solido. È l’opera, e non i figli o l’esistenza che viviamo, quel che conta alla fine del percorso. Guarda San Paolo da qui, dall’alto, il nostro primo ufficio era in centro, ma quindici anni fa ci siamo spostati qui, sull’avenida Paulista. Adesso vogliono spostarsi di nuovo, sull’avenida Berrini. Guarda, sono contento di essere quasi in pensione, cosa farei laggiù, con quel fiume di auto e camion, senza nessun orizzonte? Sono le nuove frontiere. Il problema è che stiamo incenerendo quelle antiche, facendo tabula rasa.

Sono nato nei Campos Elíseos, il primo ufficio è sorto in via Líbero Badaró, in luoghi chic, all’altezza. L’avenida Paulista va ancora bene, ma ho la sensazione che quando ce ne saremo andati tutti, con la vecchia generazione in fuga, prenderà piede il degrado. Mi piacerebbe credere che saremo capaci di resistere di più, con più dignità e ordine davanti a questa grande massa amorfa, affamata e incolore che ci sta sempre alle calcagna. Da qui, dall’alto, guardo indietro, verso il centro della città, e vedo cosa abbiamo costruito: rottame scuro e decadente. I nostri passi vengono triturati, restano solo le rovine sporche, le rovine umane. Li chiamano i senzatetto. Sono dei poveri disperati, ma



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